Abbiamo lanciato qualche giorno fa l’allarme sui rifiuti a rischio infettivo.
Che con l’emergenza Covid-19 rischiano di diventare un pericolo. Il manager Paolo Tuccitto ci aveva raccontato della stranezza di un sistema di raccolta dei rifiuti ospedalieri (a cui ora sono equiparati quelli delle zone rosse) gestiti da un solo operatore e smaltiti esclusivamente negli inceneritori. Mentre esistono delle macchine italiane che possono farlo in maniera più ecologica e economica.
Sono prodotte dalla Newster Group. Che – già – è italiana come le stranezze di cui sopra. Insomma: abbiamo voluto sentire Andrea Bascucci, amministratore unico dell’azienda, per farci spiegare il paradosso.
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Le macchine italiane che l’Italia non usa
Intervista all’amministratore unico Andrea Bascucci
Dottor Bascucci, partiamo raccontando la sua azienda.
“Produciamo macchine per la sterilizzazione dei rifiuti sanitari a rischio infettivo, impianti per la disinfezione delle acque reflue dai reparti infettivi e abbiamo appena ottenuto il brevetto italiano per le macchine dedicate al trattamento dei rifiuti liquidi in laboratorio. La Newster Group ha sede a Cerasolo di Coriano, in provincia di Rimini. Esportiamo la nostra tecnologia in più di 50 Paesi del mondo, e il nostro fatturato è al 100 per 100 estero. Dal 2019, grazie al nostro sforzoi in ricerca e sviluppo, siamo stati accreditati presso il Mise come PMI innovativa”.
Niente Italia, conferma?
“Nulla. E neanche, diciamo, niente Paesi del G8. In Europa, per dire, facciamo business solo con i Paesi dell’est, l’area balcanica e la Federazione russa”.
Come mai?
“So di dire una cosa antipatica, ma i Paesi sviluppati vogliono conservare un sistema antiecologico e antieconomico. Diciamolo: il rifiuto, qui da noi, è un business. La politica di riduzione dei costi di trasporto contrasta con una politica di profitto. Noi abbiamo uno slogan: dove il rifiuto è un problema, noi siamo la soluzione; dove il rifiuto è un business, noi siamo il problema”.
In che senso?
“Le dò un po’ di numeri. Il rifiuto ospedaliero come viene trattato adesso ha un prezzo medio di 1,7 euro al chilo, comprensivo di imballo e trasporto. Con il nostro sistema si scende a 0,5-0,6. Questo perché il trattamento negli inceneritori comporta anche tutta una serie di costi accessori, di trasporto e imballo dedicato secondo normativa. Che nel nostro caso vengono abbattuti”.
Quali sono le differenze?
“Se il rifiuto ospedaliero non viene trattato, non può restare più di 5 giorni nei cassonetti. E dunque dev’essere portato via. Le nostre macchine italiane invece creano un prodotto sterile che può essere stoccato e smaltito anche secondo la normativa che regola lo smaltimento dei rifiuti assimilati agli urbani”.
E quindi?
“I rifiuti sterilizzati riducono il loro peso del 15% e il volume dell’80%. In più possono essere destinati al recupero energetico come combustibile da rifiuti. Abbiamo studi di laboratorio che dimostrano inoltre come il rifiuto trattato rimanga sterile anche fino a 28 giorni di trattamento, come indicato dalla legge sperimentale francese per il recupero di materia dai rifiuti ospedalieri. Questo permetterebbe ad esempio di merscolarlo con il cemento e utilizzarlo per fini edili”.
Addirittura?
“Sì. E si potrebbe fare subito. In Zimbabwe il ministero ci ha dato il via libera: è il primo Paese la mondo dove lo si fa”.
Pazzesco, verrebbe da dire.
“Già. La cosa buffa è che abbiamo vinto due bandi della Cooperazione Italiana per lo sviluppo per progetti simili, ma in Niger e in Mozambico. E abbiamo mandato due macchine in Cina nell’ultimo mese”.
E allora: perché in Italia no?
“Di più: in Europa no. Nonostante ci sia una legge dell’Unione al riguardo. Però è una direttiva e non è stata imposta come via preferenziale. Per cui…”.
Qual è il pericolo?
“Come detto, con l’emergenza c’è il rischio di speculazione. E poi c’è l’allarme sanitario: a causa della crisi Coronavirus i quantitativi dei rifiuti sanitari sono triplicati. Le dò una notizia: in Calabria non hanno impianti a sufficienza. Come faranno?”.
Si rischia il collasso. E l’espansione del virus.
“Esatto. Gli operatori di trasporto stanno già protestando perché non sono tutelati dai rischi. Se si dovessero fermare? Ci sarebbe un impatto drammatico. Stessa situazione se le regioni del Nord non accettassero più i rifiuti da altre regioni perché sature”.
Voi sareste pronti ad affrontare una fornitura?
“Siamo pronti, ma ovviamente avremmo bisogno di un supporto. Facciamo 10-15 macchine al mese, però dipendiamo dalla filiera produttiva. Che è tutto fatta in Italia, tranne la scheda elettronica della Siemens. Abbiamo fornitori in Lombardia, in veneto, nelle Marche e in Emilia Romagna. Se la filiera produttiva dovesse collassare, anche noi verremmo colpiti”.
E quanto costano i vostri dispositivi?
“Per produrre una macchina ci vogliono 3-5 giorni. Il valore dei nostri impianti parte da 50 fino a 110 mila euro di prezzo al distributore”.
Per capire: quanti rifiuti smaltiscono?
“Si calcola che ogni giorno gli ospedali hanno un carico di 1 chilo di rifiuti a posto letto. I nostri dispositivi partono da 15 chili l’ora fino a 120/130. Possono operare 24 ore su 24 e serve solo la presenza di un operatore per caricare i rifiuti”.
Fatti i conti?
“Nel 2016 era stato fatto uno studio secondo il quale l’intero sistema sanitario italiano poteva risparmiare 300 milioni l’anno. Figurarsi adesso che sono aumentati i costi ed è in corso questa grave emergenza”.
Soluzioni?
“Bisognerebbe avere il coraggio di semplificare ulteriormente la gestione fino a rendere veramente operativa la normativa di riferimento. Garantendo la vera possibilità di considerare il rifiuto sterilizzato come il rifiuto indifferenziato prodotto dall’ospedale. Questo vorrebbe dire rompere gli schemi legati al vecchio ed ancora attuale sistema di smaltimento”.
Spieghi meglio.
“In questa fase emergenziale si permetta alle municipalizzate di ritirare il rifiuto sterilizzato come urbano indifferenziato, tagliando i trasporti come gli attuali decreti impongono. Passato questo momento si valuti – come avviene in Francia – la possibilità di un vero recupero di materia”.
Con quale risultato?
“Ha presente l’economia circolare? Se le attuale normative italiane ed europee si adeguassero alle evidenze tecnico-scientifiche sburocratizzandosi, sarebbe replicabile anche da noi quanto sta succedendo in Zimbabwe. E sarebbero addirittura i produttori di cemento a pagare per avere il materiale sterilizzato non più considerato rifiuto. Così che gli ospedali potrebbero perfino guadagnarci. Il volume del cemento in Italia è talmente alto che sarebbe possibile smaltire tutti i rifiuti ospedalieri italiani. E il ciclo sarebbe perfetto”.
A questo link potete trovare il sito della Newster Group.
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