Dieci milioni subito. Un euro per ogni euro donato. E non solo.
Il progetto “Covid-19 Sosteniamo la Musica” è qualcosa di più che il solito fondo di beneficenza dove imbucare soldi. Si tratta di un vero e proprio supporto per chi di musica vive senza apparire. Come racconta Federica Tremolada, managing director di Spotify.
Federica da un anno è a capo della divisione Sud ed Est Europa, che conta 18 Paesi. L’Italia, con la Spagna, è il più importante. E ha fatto da linea guida a ciò che Spotify ha fatto durante l’emergenza. Ecco come.
Il piano di Spotify per aiutare la musica
Intervista a Federica Tremolada
Un progetto in cui l’Italia è guida.“Possiamo dire anche un esempio. La realizzazione ha richiesto una certa mole di lavoro: magari uno vede il pacchetto finale e non sa quello che c’è dietro. Siamo davvero soddisfatti e dobbiamo ringraziare tutte le persone che hanno collaborato”Come funziona?“Essendo i primi, visto che l’emergenza coronavirus è partita prima qui, per prima cosa abbiamo subito utilizzato la nostra piattaforma per diffondere agli utenti il messaggio dei decreti del governo. Poi abbiamo pensato a come accontentare il nostro pubblico lavorando con gli artisti al nostro fianco”.Risposta degli artisti?“Entusiastica. Hanno partecipato facendosi vedere da casa ai fan, riprendendosi nella loro giornata tipo con le Stories del nostro account Instagra. Un’idea che poi è così piaciuta da diffondersi anche alle altre country”.Come sta andando il fondo?“Una volta che Spotify lo ha lanciato, ogni Paese doveva poi metterlo in pratica. All’estero ci sono nazioni dove organizzazioni di sostegno ai musicisti erano già aperte, noi abbiamo scelto Music Innovation Hub con la collaborazione di tutta la filiera. FIMI, AFI e PMI: insomma dalle case discografiche più grandi ai produttori indipendenti più piccoli. E poi ci sono il Comune di Milano e Milano Music Week”.Perché Music Innovation Hub?“Ci piaceva perché sulla loro piattaforma chi vuole contribuire non si deve registrare e poi perché già potevano accettare donazioni. In Italia la burocrazia allunga molto i tempi delle donazioni, noi volevamo partire in fretta. Infine fanno da tempo attività di sostegno, formazione, networking per chi vive di musica”.Che sono tanti.“Certo: la gente non deve pensare solo ai ggrandi atisti, magari quelli che hanno la fortuna di accedere alle revenue dei diritti d’autore. Ci sono anche le maestranze, chiunque lavori nel mondo del live o negli studi. E i piccoli musicisti. Tante persone che non hanno neanche un termine per il ritorno all’attività: sono in una Fase 0 permanente”.Gli artisti famosi hanno contribuito?“Con entusiasmo, come dicevo. E poi per Daniele Silvestri con latri colleghi ha già lanciato il progetto
Lost in the desert, un brano che è già su Spotify i cui proventi andranno interamente alla raccolta. Un’idea che apre la strada ad altri artisti”.
Insomma: Spotify è sempre più il nome della musica.
“Diciamo che ormai è sinonimo di streaming. Una realtà consolidata che ha superato la diffidenza iniziale che ha accolto le aziende che hanno cambiato il mercato. Ormai noi siamo partner di tutti gli operatori e garantiamo più della metà delle entrate del mondo musicale”.
Merito della tecnologia.
“Certo, la trasformazione hitech ha aiutato anche questa industria. Per esempio: siamo stati in grado di sostituire la pirateria rendendola non più conveniente per l’utente. E poi, grazie all’introduzione dei podcast, siamo nel campo dell’intrattenimento audio allargato”.
Cos’ha in più Spotify della concorrenza?
“Diciamo che siamo nati per fare quello che facciamo. Le altre piattaforme fanno parte di aziende che hanno un core business diverso. Si tratta di un qualcosa in più per loro. Spotify è sempre stata concentrata sul mondo dell’audio entertainment. Nasce dalla passione per la musica: non è una piattaforma, ma un protagonista. Per questo anche il progetto di sostegno non è un punto di arrivo, ma di partenza”.
Come ha cambiato i consumi il Covid-19?
“All’inizio c’è stata una piccola decrescita per gli ascolti. Poi ogni Paese, Spotify è presente in 80 nazioni, ha reagito in modo suo. Noi essendo i primi ad essere colpiti dall’emernegza abbiamo fatto da test”.
Risultato?
“C’è stato un cambiamento nei consumi e negli ascolti: non andando più fuori di casa le persone si sono reinventate. Orari diverse, sessioni diverse. Meno cellulare, più pc e smart speaker. E nuovi iscritti, e vecchi che sono tornati. Con esplosione di contenuti”.
Tipo?
“Podcast su yoga, meditazione, sport, cucina. E poi abbiamo curato molto gli hub per bambini, facilitando l’accesso ai contenuti”.
Cosa resterà a emergenza finita?
“Con il ritorno alla vita si rivedrà il traffico di chi ascolta Spotify mentre va e torna dal lavoro. Ma di sicuro questo periodo ci aiuterà a esplorare nuove opportunità. L’esempio è quello di strutturare un vero e proprio canale Kids per dare un’esperienza di ascolto di qualità alle famiglie. E non sarà l’unica novità”.
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