Siamo stati al “D’O” di Davide Oldani. Il ristorante di Cornaredo che è la casa dello chef inventore della Cucina Pop. E Davide ha concesso qualche minuto del suo tempo non solo per l’intervista uscita sul Giornale di oggi, ma anche per un video dedicato a TraMe&Tech. Per parlare della tecnologia che c’è dietro i piatti che prepara. Lo trovate qui sotto, così come l’intervista uscita sul quotidiano.
Ristoranti tech: intervista a Davide Oldani
“Ramazza, regole e due menù”
Ripartire è anche prendere una ramazza in mano e mettersi a lavorare. Lo fa ogni giorno Davide Oldani, nella Piazza della Chiesa dove prima che aprisse il nuovo ristorante c’erano solo cemento e grigiume. Il «D’O» a Cornaredo, nell’area milanese dove i sogni crescono ma spesso muoiono, è servito anche a quello: a far sì che quel sogno diventasse un luogo da vivere.
Così ecco che ogni giorno i ragazzi del locale escono a bagnare le piantine e con la scopa in mano. Lo fa anche Davide in persona, rimproverando magari uno dei suoi se la panchina della piazza non è tirata a lucido: «Nessuno ce lo chiede, non è un obbligo. Ma se fai parte di una comunità, devi essere il primo a dare l’esempio. Si chiama rispetto delle regole, è quello che insegno a chi lavora con me».
L’intervista con Oldani è nel salottino dentro al suo «D’O», un locale luminoso che ispira alla sosta dalla velocità del mondo. Un po’ quella a cui ci ha costretto il Covid: «Sai cos’è: c’eravamo abituati a vivere alla velocità dei social, che non è la nostra. A perder tempo per cazzeggiare su internet sviandoci dalle cose fondamentali. Per esempio la cultura, in tutti i campi. Invece c’è chi ha messo a rischio la riapertura delle scuole per folleggiare in vacanza. Incredibile».
Come ha riaperto il «D’O»?
«Seguendo le leggi. Io sono fiero di vivere in Italia e quindi seguo le regole che mi dà il governo, qualunque sia. Anzi, ho applicato norme anche più restrittive, eppure facendo così ho assunto due persone in più».
Un bel segnale. Come funziona ora?
«Anche se lo spazio c’era già, ho tolto il 35% dei tavoli. E ho diviso le brigate: due in sala e due in cucina. Il virus non è sconfitto: non voglio entrare nel merito, sono già in troppi a parlare. Mi regolo con il buonsenso».
I tuoi ragazzi come hanno reagito?
«Diciamo che con queste regole abbiamo rivisto il mestiere: ora diventa un lavoro più leggero per tutti. Chi fa la mattina non fa la sera e viceversa, si ha un solo turno. Questo per me è importante per far sì che i giovani tengano passione per la cucina».
In che senso?
«I ragazzi fanno fatica ad adeguarsi agli orari. Nella mia scuola alberghiera ho 60 ragazzi e 40 ragazze, che è tanta roba rispetto anni fa. Ma poi chi va avanti a fare il mio mestiere sono in pochi. Avere tempo libero li aiuta a percepire la bellezza di questo lavoro».
Il freno di cui si diceva.
«Abbiamo esagerato. Dimenticando che c’è uno sopra di noi che ogni tanto ci ricorda che siamo in affitto nel mondo. Il Covid è stato un dramma terribile, quanta gente è mancata. Nel contempo si è assistito alla ripopolazione dei mari, si sono rivisti i delfini al porto di Genova, il verde ha riconquistato spazio, anche qui davanti al mio ristorante. Tutto questo dal sabato sera alla domenica. Dovremmo ricordarcelo sempre».
E invece…
«E invece avrei preferito vedere le regole rispettate questa estate: è facile poi scaricare le colpe sugli altri. La mia preoccupazione era che mia figlia potesse andare a scuola, bastava un po’ di sacrificio e pensare a bambini e ragazzi che dovevano riprendere a studiare».
La scuola è ripresa.
«Speriamo bene. I figli sono il nostro futuro: bisogna fare in modo che tutto funzioni. Abbiamo perso la nostra socialità, grazie a loro la ritroveremo».
Cos’hai fatto durante il lockdown?
«Siamo stati chiusi tre mesi: ne ho approfittato per sanificare, riorganizzare, finire il mio libro e studiare un sistema di menu da leggere con l’Nfc sullo smartphone. E per pensare».
Che cosa?
«Che non bisogna guardare a quello che abbiamo perso, ma impegnarsi a far ripartire il nostro mondo. Senza ingordigia di voler recuperare quel che è perduto».
A Milano nel 2019 c’erano oltre 5mila ristoranti aperti. Un sacco ora sono chiusi dopo il lockdown.
«Diciamo che era accaduto anche in passato, se ricordi la famosa Milano da bere. Ti metti in un’attività che sembra semplice, e invece non lo è. Non è solo colpa di questa crisi: la ristorazione non è un Eldorado, è sacrificio. E per molti diventa un bagno di sangue».
Come si resiste?
«Preparandosi bene. Abbiamo bisogno di cibo sano e tracciabile, si deve imparare a gestire la materia prima. In Italia abbiamo avuto lo scandalo metanolo, oggi facciamo grandissimi vini. Però così sono stati buttati via anni di preparazione e cultura. Da queste cose fatte e di quelle casualmente accadute come il Covid si deve fare tesoro».
Ci vuole pazienza.
«Ci vuole risparmio: sembra una vergogna dirlo. Il nostro Paese è stato costruito con il risparmio dei nostri genitori. Oggi i ragazzi per fortuna stanno cominciando a ripensarci. Se guadagni 10 non puoi spendere 11, ma neanche 9. I buchi dell’economia li crei così».
È l’Italia, insomma.
«Io sono felice di aver scelto di vivere nel mio Paese. Non piace la lamentela, sputare nel piatto dove mangi. Se sei in Italia devi rispettare le regole, non puoi però pretendere scorciatoie. Parlo in generale: ogni mestiere c’è uno studio da fare, anche in politica. Ci vuole gavetta, andare a bottega».
O in cucina.
«Un giovane deve essere guidato: io condanno l’insegnamento e non lui. Quando esci dall’università non puoi andare subito a insegnare alla scuola alberghiera. Prima ti fai un po’ di gavetta, impari a come indossare la divisa, a conoscere l’ingrediente prima del piatto. Per imparare a fare il cuoco ci vogliono almeno 4-5 anni di pratica. Se no non puoi mettere nulla della tua esperienza. L’Italia artigiana si sta dimenticando delle basi e quelle le puoi avere solo andando a bottega».
Torniamo alla tavola: nuove idee?
«Io vado avanti con la mia, quella di cucina pop. Abbiamo ridotto tutto a due menu che cambiamo ogni stagione: Armonia ed Esattezza. Questo mi aiuta a lavorare e a fare contente le persone che vengono da me».
Un consiglio di stagione.
«Di ricette che ne sono milioni, l’importante è scegliere prodotti di qualità. Non si sbaglia mai. Porcini, finferli, uva, zucca, cavolfiore, indivia: ora è il momento di pieno gusto. Anche a tavola ci vogliono coerenza e regole».
Per finire: sei fiducioso?
«Lo sono perché sono attento, poi deciderà il buon Dio cosa mi accadrà di buono o meno buono. L’importante è essere coerenti e probabilmente andrò avanti con questi numeri. Qualità e fiducia sono importanti. Più di tutto».
giornalista appassionato di tutto quanto fa tecnologia, caporedattore del quotidiano Il Giornale