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Interviste

#Didays2020, le interviste: Ilaria Iurilli (Ikea Group)

Se c’è un’azienda che ha messo insieme digitalizzazione, innovazione e design per cambiare pelle, questa è sicuramente Ikea. Passata negli anni da sinonimo di arredamento cheap a ispirazione per le case di tutti i livelli. Ilaria Iurilli, lavora per il Gruppo svedese a Malmö, vive a Copenhagen in Danimarca e gestisce un team che sviluppa prodotti digitali nel campo loyalty, personalizzazione del marketing e della shopping experience.

Anche Ilaria sarà protagonista di Digital Innovation Days Italy, dove parlerà di live shopping, “un’esperienza che viene dalla Cina e che vogliamo provare”. Le abbiamo chiesto di raccontare la sua esperienza da mettere in campo nella ripartenza dopo la crisi Covid-19.

IurilliIntervista a Ilaria Iurilli (Ikea Group)

di Marco Lombardo

Partiamo dalla sua carriera in Ikea.
“Ho lavorato per quattro anni in Ikea Retail sempre nel campo Digital, adesso invece sono in un’altra delle aziende del Gruppo, Ingka Centers. Ovvero la parte che gestisce i centri commerciali. Lavoriamo con un’esperienza fisica, e il momento attuale ha rappresentato una grande sfida”.

Quanti store gestite?
“Ad oggi sono 46 nel mondo, principalmente Europa, Cina e Russia. Dove c’è sempre uno shop Ikea. Nel 2021 apriremo negli Stati Uniti, poi in India”.

L’azienda è passata dagli store al digitale riuscendo a far convivere le due realtà. Com’è stato possibile?
“In generale la parte digital è stata affrontata in maniera simile dai vari rami del gruppo. Ma il Retail vende prodotti ed è stato più facile per loro decidere di investire fortemente sul miglioramento dell’esperienza online che puó essere indipendente da quella in negozio. Per noi che gestiamo centri commerciali la sfida è stata trovare modi davvero innovativi per restare top of mind per i nostri clienti anche durante il lockdown”.

In che modo?
“Noi non possiamo pensare di non avere punti fisici, abbiamo anche investimenti importanti su questo. Stiamo entrando anche nei centri delle grandi città e dobbiamo lavorare su un piano che coinvolga la fisicità dell’acquisto e la renda complementare alla trasformazione tecnologica”.

In Italia su questo come siete messi?
“A Roma abbiamo quello che si chiama planning studio, per cucine e sistema armadi. A Milano per ora ci sono stati solo pop-up store, ma presto in città arriverà qualcosa di nuovo. I planning studio sono una vera soluzione per il cliente, poiché comprare una cucina, è un’esperienza in cui ci vogliono almeno tre appuntamenti per creare il progetto definitivo. Ci deve essere una partecipazione attiva del cliente e ci vuole una reazione di fiducia tra chi vende e chi compra. L’accessibilitá al servizio è essenziale. Ma stiamo sperimentando anche nuove forme oltre ai planning per avvicinarci ai centri città”.

Alternative?
“Innazitutto il range Ikea varia sui 10mila prodotti: non c’è spazio per tutto neanche nei grandi centri, lo store manager deve scegliere sulla base della clientela. Nei planning studio poi quasi non c’è nulla da portare a casa. Stiamo studiando cambiamenti radicali del nostro concept”.

Per esempio?
“Tra un anno apriremo a San Francisco il primo centro commerciale Ingka Center. Che avrà un negozio Ikea XS, ma stiamo parlando sempre di 20mila mq, suddiviso su più livelli. Su Market Street in pieno centro città. E sarà un’esperienza davvero nuova”.

Sostenibile.
“Su questo campo l’azienda ha fatto all-in. A Vienna per esempio apriremo un negozio IKEA, 100% green, niente parcheggio”.

La tendenza ormai è guardare in negozio e spesso poi comprare online.
“Siamo a conoscenza di questi comportamenti, e infatti ormai bisogna essere customer obsessed. Dobbiamo essere capaci di capire il comportamento del cliente e costruire soluzioni. Raccogliendo dati”.

Farsi trasportare dalle esigenze.
“E non crearle alla fonte. Si tratta di una nuova forma di relazione con le persone. E questo deve valere per tutti i settori, se posso dare un consiglio”.

Com’è vivere da italiana in Nord Europa?
“Non è sempre facile. Ci sono cose nelle quali proprio non ci capiamo. È un tema enorme”.

Sintetizzando?
“Il mio compagno è svedese, mio figlio ha due nazionalità e viviamo in Danimarca. Potrei parlarne per ore… Da dove cominciamo?”.

Da qui: come trovare un punto d’incontro? C’è un compromesso tra due visioni così diverse di Europa?
“Il punto d’incontro può essere la trasformazione tecnologica. Io sono arrivata qui 10 anni fa e già allora tutti i processi amministrativi erano digitalizzati. Per dire: la dichiarazione dei redditi, che chiunque può gestire da solo. Io che la faccio anche in Italia posso dire che sono due pesi completamente diversi”.

Questione di cultura?
“Si tratta di crederci. Questo processo di digitalizzazione ha reso le persone più aperte verso la tecnologia, che è vista non come un’opzione ma come una cosa naturale. Una normale evoluzione. E poi qui fa anche comodo”.

In che senso?
“Crea una specie di comfort zone in una popolazione che non ama il contatto come noi. Se incontri un danese per strada che hai giá incontrato una o due volte, devi proprio stargli simpaticissimo perché ti saluti”.

In prospettiva Europa unita non è confortante.
“Gli stati del Nord, e la Germania devo dire, sono così, molto più individualisti. Qualcosa però sta cambiando grazie al primo ministro attuale che è molto più aperta verso il progetto europeo. Però questa cultura di fondo non cambierà: loro amano l’Italia, ma ci sono aspetti su cui c’è molto da lavorare”.

Cosa dovremmo fare noi?
“Per esempio aprirci all’innovazione più di quello che stiamo facendo. Da parte delle aziende bisogna adottare soluzioni che siano digitali nell’intero processo: se per finalizzare un’operazione che parte dal web poi costringi uno ad andare in Posta, gli fai solo perdere tempo e pazienza. Alle persone dico invece di avere una mente aperta, di non avere paura del cambiamento. Si deve provare e capire che l’esperienza digitale è dalla parte del cliente. E un po’ la ricetta dell’iPhone in fondo”.

Ovvero?
“I designer dell’esperienza utente lavorano per rendere l’uso dello smartphone facile. Se prendo in mano un iPhone so subito cosa fare: questo è il concetto che va trasferito ai servizi. E la situazione attuale è l’occasione per farlo”.

giornalista appassionato di tutto quanto fa tecnologia, caporedattore del quotidiano Il Giornale

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