Intervista pubblicata su Il Giornale il 7 giugno 2019
In fondo è tutta una questione di numeri. La matematica certo, la fisica pure. Ma anche questioni come la vela e pure il calcio (già). Fino ad arrivare alla tecnologia appunto, che vuole trasformare quei numeri nell’intelligenza del futuro. Alfio Quarteroni è una stella dei numeri e la sua carriera parla per lui: ha insegnato nei più grandi atenei mondiali, ha applicato i suoi studi in campi che variano dai terremoti allo spazio, è stato il motore dello scafo di Alinghi vittorioso la Coppa America per ben due volte. Questo giusto per dire.
Ed ora è tornato in Italia al Politecnico di Milano per unire i big data con la medicina, per spiegare i segreti del cuore con le equazioni matematiche. Ed è stato chiamato persino da alcune squadre di calcio (è un piccolo segreto…) per collaborare a un futuro dove le variabili del pallone non siano più così decisive. Questioni di dettagli, dove va trovata la formula. Un po’ insomma come il futuro che ci aspetta. E non è un caso che Alfio Quarteroni diventi pure il protagonista di un festival letterario, quello del Libro Possibile, a fianco di Pirelli. In fondo i numeri non sono solo scienza. Ma anche un racconto di ciò che verrà.
Intervista al Professor Alfio Quarteroni
“Così calcoleremo le emozioni”
Professor Quarteroni, a qualcuno i numeri fanno paura.
«Lei sta sicuramente parlando di intelligenza artificiale. Le dico subito che sull’argomento c’è molta confusione al riguardo».
Ci spieghi, allora.
«Partiamo dalla base: stiamo parlando di qualcosa che coinvolge tutto quello che l’uomo non riesce a fare. In questo caso il tentativo è sostituirsi ai processi cognitivi umani e sviluppare un modo per mettere insieme connessioni neuronali, dendriti e assoni per arrivare al ragionamento. Questa è l’idea di base».
In questo c’entra la matematica.
«È un’operazione di machine learning: ovvero istruisco una macchina sulla base di training basati su tantissimi dati, per dare capacità ragionamento autonomo. In questo ovviamente i numeri c’entrano. E soprattutto non c’è limite».
Appunto: la mancanza di un limite può essere una minaccia.
«Bisogna darsi un traguardo, che è mettere la migliore tecnologia possibile per raggiungere l’abilità di cui parlavamo sopra».
Eppure i numeri sono infiniti.
«È vero: il calcolo che impara da se stesso è di per sè infinito. Ma oggi c’è un limite, che è l’osservazione della nostra realtà. Possiamo mantenere il dominio sulle macchine perché i dati che inseriamo sono quelli che conosciamo. Poi si lavora di intuizione».
Con quella si ottengono i risultati.
«La tecnologia di questo modo di procedere ne sta beneficiando, pensi al riconoscimento facciale per esempio, o al riconoscimento del testo o della parola. Ma ci sono anche macchine che capiscono chi sta parlando senza averlo mai sentito o incontrato».
Com’è possibile?
«Sono algoritmi. Numeri. E in questo caso il limite è decidere cosa posso rubare della tua identità. Ed è qui che si entra in un campo limaccioso e complicato».
È qui che i robot potrebbero sovrastarci?
«Dipende sempre dall’uomo. In Giappone ci sono macchine sempre più raffinate al servizio delle persone. D’altro canto il nostro animo non è sempre benevolo. La Storia racconta molto di questo: parliamo della bomba atomica?».
Parliamone…
«L’idea di energia atomica è nata come idea di progresso. L’altra faccia di questa medaglia però è che la medicina nucleare è figlia di quella fisica che ha creato dei danni pazzeschi: con quella oggi si curano i tumori».
Lo scienziato dovrebbe valutare i rischi di una sua scoperta?
«Non penso, non è il ruolo della scienza distinguere fra bene o male possibili. Chi ha inventato il coltello l’ha fatto per aiutare a tagliare, non per istigare i killer. Non si può addossare alla scienza il dovere morale di immaginare come andrà a finire».
Vale anche per l’innovazione, dunque.
«Un conto dire è che qualche scienziato stia sfruttando la conoscenza per arrivare a uno scopo: in questo caso è giusto che ci sia un limite del lecito. Ma nel viaggio verso lo sviluppo, siamo con noi stessi per cercare di capire qualcosa che nessuno ha mai capito prima».
Alla fine: la matematica è conoscenza?
«Sì, anche se ci sono dei limiti alla sua comprensione. La matematica cerca di tradurre in numeri ed equazioni la conoscenza universale: nella medicina, nella fisica, nell’ambiente, nello spazio, nella geofisica dei terremoti. È andare al di là di ciò che si sa: venti anni fa non avrei mai potuto fare calcoli sul cuore umano. O programmare barche a vela per vincere. Insomma: quel che sembra irraggiungibile oggi, magari un giorno non lo sarà più».
Anche per le macchine però.
«Oggi io non riesco a descrivere con modello matematico un’emozione, eppure questa nasce dentro di noi. Così come l’intuizione. È tutto frutto di un comportamento neurologico, nervoso e metabolico che attiva canali elettrici. Magari un domani qualcuno riuscirà a descrivere questo processo con un modello matematico. Anche una macchina? Possibile, molto probabile».
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