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Immuni e le (ancora) poche certezze. Spiegate dal Prof. Federico Cabitza

Abbiamo più volte parlato dell’app Immuni. Ora che il servizio è partito, si cerca ti tirare le prime somme: si sa che è stata scaricata da 2 milioni e mezzo di persone (poche) e che è arrivato qualche alert (pochissimi). Federico Cabitza, professore di Sistemi informativi e Interazione uomo-macchina all’Università degli Studi di Milano Bicocca, ha cercato di arrivare a un primo risultato.

L’esperto, vista la mancanza di dati in arrivo dalle autorità, ha elaborato un breve sondaggio per valutarne l’efficacia. Il suo giudizio è in questa intervista rilasciata al sito Red Open, società che si occupa di governance dell’innovazione, di cui pubblichiamo un estratto. Le certezze restano ancora poche.

Cabitza

ll Prof. Federico Cabitza dell’Università degli Studi di Milano Bicocca

Immuni e le risposte del Professor Federico Cabitza

Il rodaggio effettuato in quattro regioni

La domanda giustamente fa riferimento al cosiddetto “bias di selezione”. Se effettivamente un terzo degli abitanti delle regioni interessate dalla sperimentazione ha installato l’app (e abbiamo ragione di credere che la percentuale sia comunque minore), quel campione non è rappresentativo della popolazione complessiva a cui è destinata. Soprattutto in termini di familiarità con le tecnologie digitali e di propensione all’utilizzo.

È anzi probabile si tratti delle persone più esperte della popolazione di riferimento e di coloro i quali ritengono che questo strumento sia molto utile. In questo modo, è probabile che una settimana di sperimentazione non sia stata sufficiente per far emergere e affrontare problemi di usabilità dell’app…

Il periodo di test

Penso che nessun esperto di interazione uomo-macchina possa considerare un periodo di 7 giorni sufficiente a comprendere la reale usabilità dell’app. Né il grado di sicurezza (anche se questo è l’aspetto più facilmente simulabile in condizioni controllate da laboratorio). Né, e questo è l’aspetto più importante a mio avviso, dal punto di vista dell’accuratezza del sistema nello stimare il grado di rischio dei contatti di prossimità. E quindi della sua efficacia nel supportare la strategia di trace e test del nostro Stato.

E in questa disamina sommaria non sto considerando tutta una serie di elementi. Che invece un approccio responsabile alla progettazione di tecnologie a supporto dei sistemi socio-tecnici dovrebbe considerare. Come ad esempio capire se l’utilizzo dell’app immuni non induca un senso di falsa sicurezza e quindi non modifichi, per il peggio, il comportamento delle persone che la usano.

La sperimentazione insufficiente

Le istituzioni si appellano al senso di responsabilità dei cittadini. E promuovono con il denaro dei contribuenti campagne di comunicazione e promozione che danno per scontato, come assodato e provato scientificamente, che una app come Immuni sia efficace.  Soprattutto costo-efficace, cioè porti risultati proporzionati alle risorse che richiede. 

Ora questo non è affatto scontato: che io sappia l’efficacia delle app di contact tracing è stata finora valutata solo sul piano teorico. Mediante modelli di simulazione che, pur tenendo in considerazione moltissime variabili, non possono che semplificare la complessità del mondo reale in maniera spesso eccessiva. 

Mi sembra che una app simile ad immuni sia tuttora in sperimentazione nell’Isola di Wight nel Regno Unito, dall’8 maggio scorso. Non sono al corrente del fatto che lì reputino conclusa la sperimentazione, nel contesto di una regione isolata geograficamente che ha però più di 140.000 abitanti.

La trasparenza dei dati

Solo con maggiore trasparenza su come sta andando (o è andata) una sperimentazione in ambito locale si può capire se sia opportuno e appropriato estendere la strategia a livello nazionale. Ciò che colpisce nel caso italiano è che la durata della sperimentazione, e quindi le date di inizio e fine, siano state decise a tavolino. A prescindere da ogni possibile rilievo o elemento che fosse emerso in fase di analisi dei dati raccolti.

Nessuno può convincermi che, anziché di una sperimentazione a tutto tondo, si sia trattato solo di un rodaggio tecnico. Come sono i primi chilometri di una macchina che si è sicuri di mettere su strada alla fine del periodo. A meno che non fosse stato necessario passare dal meccanico per qualche problema.

La trasparenza nei dati (numero di utenti attivi, al numero di utenti attivi trovati positivi,  numero di loro contatti e al numero di test effettuati su questi contatti nel giro di 2-3 giorni al massimo) sono elementi fondamentali. E non accessori. Per capire se Immuni può raggiungere gli obiettivi per i quali è stata sviluppata, e se lo fa con un dispendio razionale e appropriato di risorse pubbliche

Il mistero sui costi

Hanno dato grande visibilità al fatto che l’app sia stata sviluppata senza oneri per lo stato da una azienda privata. Non ho visto altrettanta trasparenza su quanto sia costato approntare (un milione di euro?) e quanto costi ogni mese manutenere (anche in termini di sicurezza e protezione agli attacchi) i server che gestiscono il servizio. Dalla procedura di sblocco alla notifica di contatto.

O quanto costi arruolare e mobilizzare gli operatori sanitari che dovrebbero fare il test molecolare alle persone che venissero raggiunti da una notifica di contatto. Oppure quanto costi raccogliere tamponi (e analizzarli).  Conoscere queste cose è importante per capire se il numero di falsi positivi associati a tamponi inutili fosse troppo alto.

E soprattutto quanto costi, in termini di costi opportunità (guadagni mancati e produttività ridotta) ogni giorno di quarantena volontaria di un soggetto notificato. Che non fosse prontamente testato e a cui non si desse la certezza di essere positivo o negativo nel giro di pochi giorni.

Il processo di valutazione

La trasparenza che auspico non è un fine, ma un mezzo. Per ottenere prove di efficacia dalla comunità dei ricercatori e data scientists interessati che potrebbero così analizzare i dati. E sviluppare modelli previsionali, creando simulazioni per capire se le cose stanno andando nella direzione voluta oppure no.

La Norvegia ha deciso di interrompere l’uso della loro app di tracciamenti dei contatti perché, a fronte del basso tasso di infezione, “l’invasività dell’applicazione superava i suoi possibili benefici”. Ora, questa applicazione tracciava anche i movimenti degli utenti tramite GPS e per questo è sensato parlare di una invasività che l’app Immuni non ha. Ma ciò su cui pongo io l’attenzione è la valutazione dei possibili benefici e il bilancio netto costi benefici: certe cose se non le misuri, cioè non raccogli i dati, non le puoi gestire (come diceva l’economista Peter Drucker).

Il sondaggio

Ritengo che in certi casi l coinvolgere i cittadini direttamente nella raccolta di dati, percezioni, impressioni, sia fondamentale. La mia iniziativa è nata come una provocazione: “Se non ci date i dati dall’alto, ce li prendiamo dal basso”. Se poi, con questo strumento, saremo in grado di avere dati che ci permettono di stimare il numero di contatti falsi positivi e anche il numero dei falsi negativi allora ne sarò felice. Sia come ricercatore che come cittadino.

Personalmente, non posso permettere che si diffondano messaggi alla popolazione e ai contribuenti che non siano supportate da adeguate prove di validità ed efficacia. E , lo dico da ingegnere, che si riduca il tema complesso delle politiche di gestione della emergenza Covid alle ipersemplificazioni del “soluzionismo tecnologico” da cui ci ha messo in guardia Morozov.

No, non basta una app per tenere sotto controllo l’epidemia. Oltre alle solite cose (presidi di protezione individuale, distanziamento sociale, pratiche di igiene personale e sanitizzazione degli ambienti) ci vogliono anche molti contact tracer umani. E soprattutto la capacità (e volontà politica) di fare tutti i test diagnostici che è necessario fare. Anche quelli che giustamente pretenderanno tempestivi e affidabili le persone che riceveranno una notifica di contatto da parte della app immuni.

 

 

giornalista appassionato di tutto quanto fa tecnologia, caporedattore del quotidiano Il Giornale

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